La gravità dei piccoli tradimenti

La gravità dei piccoli tradimenti

«Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto» (Lc 16,10)

Entriamo anche noi nel Cenacolo per essere vicini a Gesù nel momento supremo della sua vita, ma esaminiamo noi stessi per vedere con quali sentimenti vi entriamo, perché non ci capiti di entrare con un cuore simile a Giuda, anche se, teoricamente, saremmo pronti a sostenere che noi mai avremmo tradito il Signore. Dice S. Agostino nel suo commento aI Vangelo di Giovanni: «Il diavolo aveva dunque suggerito all’anima di Giuda di tradire il Maestro di cui egli era discepolo, ma nel quale egli non aveva affatto imparato a vedere Dio. E con questa idea che egli viene alla cena, per osservare il pastore, per tendere insidia al salvatore, per vendere il redentore… Ma Gesù che ben vedeva nel segreto del suo cuore, si serviva di lui, a sua insaputa, per i suoi disegni». Giuda dunque entra nel Cenacolo con la coscienza già gravata dal “grande delitto”. Proprio lui — uno dei Dodici come precisano con un misto di stupore e di sgomento tutti gli Evangelisti — si era già accordato con i sommi sacerdoti e gli scribi per consegnare nelle loro mani Gesù, dietro compenso di trenta denari. E Giovanni (Gv 22,6) precisa che cercava l’occasione propizia per consegnarlo loro di nascosto dalla folla. Anche noi non possiamo fare a meno di provare un doloroso sgomento di fronte a questo ipocrita tradimento e ci chiediamo: «Ma come è stato possibile? Giuda non era stato, come gli altri undici, scelto, chiamato, amato personalmente da Gesù?». Gli studiosi fanno diverse ipotesi sulle cause dell’inizio della crisi di Giuda. Chi dice che si è rovinato per avarizia e ingordigia di denaro. Altri ancora sostengono che la sua aspettativa messianica, sostanzialmente di natura politica, era rimasta profondamente delusa dall’atteggiamento di Gesù che, invece di progettare conquiste e promettere trionfi, continuava a parlare di una salvezza spirituale e a predire che avrebbe dovuto soffrire e morire. Forse si tratta di tutti insieme questi elementi e di altri ancora, ma quello che ci deve fare temere e riflettere è il pensiero che, certamente, quando Gesù l’aveva chiamato, anche Giuda aveva risposto con gioia e con amore, aveva lasciato tutto per seguire quel giovane Rabbi in cui aveva riconosciuto il Messia promesso. Ma, dopo l’entusiasmo iniziale, in lui è ritornato piano piano a prevalere lo spirito umano, la logica terrena ha preso il posto della fede, la coscienza ha incominciato a sorvolare su piccole cose che non erano più sentite come peccato, infatti Giovanni, a commento della scena dell’unzione di Betania (Gv 12, 5-6) sottolinea che, tenendo la borsa, Giuda portava via abitualmente quello che vi mettevano. Piano piano. Come sempre i grandi tradimenti vengono preparati lentamente da tanti piccoli tradimenti, che diventano quasi un narcotico per la nostra coscienza e che orgogliosamente rifiutiamo di riconoscere. Giuda è così giunto al male peggiore, cioè ha sostituito la fede e l’amore con la falsità e l’ipocrisia, con una fredda e calcolata simulazione: apparentemente seguiva Gesù, stava materialmente vicino a Lui in un atteggiamento solo esteriore di fedeltà molto simile a quello docile e amoroso degli altri, ma già da tempo il suo cuore si andava staccando sempre più dal Maestro, fino a scavare un abisso tra loro. Il triste frutto di tutto questo è, come dicevamo prima, l’insensibilità della coscienza (per cui Giuda riesce sempre a decidere ragionando e ad agire volontariamente e liberamente) e l’incapacità di pentirsi, perché il vero pentimento comporta sempre un ritorno alla grazia. Giuda ha visto, come gli altri, Gesù chinato davanti a lui nell’atto servile di lavargli i piedi, ma neppure questo gesto di umiltà del Figlio di Dio, neppure i ripetuti accenni del Maestro al traditore per aprigli la via al pentimento, neppure lo sguardo colmo di amore e di sofferenza di Gesù sono riusciti a smuoverlo e hanno fatto sgorgare in lui un briciolo di commozione. E anche quando ha visto che Gesù, invece di decidersi a iniziare a costituire il regno di Israele, è stato condannato dal sinedrio prova rimorso ma con orgoglio e, invece di invocare il perdono del Maestro, rende inutile per sé la redenzione commettendo l’ultimo peccato di disperazione, cioè impiccandosi. Ci insegni il comportamento di Giuda a vigilare affinché nella nostra vita non diventiamo insensibili ai piccoli tradimenti, che sembrano non avere importanza e non minare il nostro rapporto fondamentale con Dio, mentre spesso sono la via per giungere insensibilmente a tradimenti più grandi.

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