SPECIALE CATECHISTI / aprile 2011

Finito il tempo del cristianesimo abitudinario, nuovi stili e nuovi obiettivi sono affidati alle comunità cristiane
Cristiani si diventa “a tu per tu”
Cioè condividendo una vita fraterna, il confronto e la preghiera
 
Non c’è giorno che passi in cui non constati, attraverso tanti incontri ed esperienze, come sia finito per sempre il tempo della fede ereditaria, del cristianesimo abitudinario trasmesso di padre in figlio senza un sussulto di dubbio, di ricerca, senza una sofferta e gioiosa scoperta personale. Di questo dobbiamo essere grati a una cultura post-moderna che ha messo sempre più l’accento sull’esperienza unica e irripetibile del singolo, e che, anche nella sfera religiosa, privilegia la responsabilità e la libertà rispetto all’obbedienza meccanica.
È vero anche, però, che questa nuova situazione destabilizza e crea nuovi problemi che la comunità cristiana, e le nostre parrocchie in primis, devono saper affrontare.
Le consuetudini, le tradizioni, le abitudini proteggevano.
Il rispetto apatico e silenzioso delle regole poteva diventare conformismo, ma forniva una mappa sicura. Oggi, invece, bisogna insegnare a vivere, ad affidarsi al proprio discernimento. Per questo non basta più trasmettere verità e princìpi oggettivi: è indispensabile accompagnare l’altro nel suo personale percorso, anche di fede, perché impari l’arte di applicare creativamente, nelle variegate situazioni della vita, quella stessa verità e quegli stessi principi.
È necessario educare. E poiché il cristiano sa che tutta la verità e tutti i princìpi si riassumono in una persona – Gesù – si tratta di guidare l’altro sulla via che conduce all’incontro vivo con lui, fino all’identificazione più totale con la sua persona.
Ma per questo non bastano i maestri: ci vogliono dei testimoni. Meglio: dei maestri che siano al tempo stesso testimoni, e dei testimoni che siano maestri. E ci vuole una comunità che educhi i suoi membri non solo con le parole, ma con la preghiera e con gesti concreti. Perciò l’iniziazione cristiana non si identifica esclusivamente con il momento dell’annuncio, ma implica anche quello della celebrazione e quello dell’esperienza vissuta. Cristiani si diventa ascoltando, ma anche attualizzando insieme ai fratelli e alle sorelle il mistero della liturgia e cercando, in un continuo confronto con loro, di tradurre il vangelo nel proprio stile quotidiano di vita in famiglia, nel lavoro, nei divertimenti, nell’esercizio della cittadinanza.
Cristiani si diventa condividendo una vita fraterna fatta di relazioni belle, significative e lunghe. Ciò non si realizza in un giorno. Come dicono gli Orientamenti pastorali dei vescovi italiani per il prossimo decennio, «si tratta di un itinerario condiviso in cui educatori ed educandi intrecciano un’esperienza umana e spirituale profonda e coinvolgente», creando «relazioni personali» in cui la libertà di uno «si forma, cresce e matura solo nell’incontro con un’altra libertà» (n.26).
Per questo non bastano più gli incontri di catechismo, circoscritti a una solitaria ora, né percorsi formativi limitati a convegni, a feste giovanili o a mega-raduni. Essi possono servire come stimolo iniziale, ma devono essere necessariamente accompagnati da un dialogo e da un confronto “a tu per tu” sia con le giovani generazioni, sia con gli adulti. Bisogna recuperare la saggezza di un’educazione che abbia gradualità, ma anche costanza nel tempo e continuità nell’impegno. Il raggiungimento dell’obiettivo è affidato alla comunità tutta, perché è solo in essa e con essa che si impara a diventare cristiani.
don Giorgio Bezze

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